“Gli animali sono sempre nel giusto, sempre in un immoto presente che si rinnova. L’uomo ha di fronte a sé infinite occasioni di errore e ne raccoglie (sempre) nel suo perenne divenire”.
Blaise Pascal (prefazione al “Trattato sul vuoto”, 1648).
Questa rassegna propone il lavoro pittorico di Maria Luisa Onestini dell’ultimo triennio, presentando 12 opere in un corpus organico, sotto l’efficace titolo di “Mondo alato”. La pittrice ferrarese alla sua seconda esperienza espositiva propone difatti un originale percorso, idealmente collocandolo fra le acque e il cielo del Delta del Po, raffigurando unicamente uccelli che lì stazionano: ma al di là delle contingenze ambientali il ciclo può assumere valore di “assoluto”, pregno cioè di valenze simboliche.
I suoi sono quegli uccelli, dalla garzetta al germano reale, dal gheppio alla beccaccia di mare, che vivono nel Basso Ferrarese ma, nel contempo, diventano agghiaccianti presenze, delineate con gran virtuosismo di tipo “naturalistico”, la cui sapienza formale si carica d’infiniti sottintesi. L’algida precisione della Onestini finisce difatti per provocare una sensazione di malessere, suggerendo un’idea di vuota solitudine, per cui i suoi temi ornitologici non sono poi così lontani dai “manichini” nelle vetrine dipinti dal suo vero maestro, il pittore Giorgio Balboni. Entrambi i soggetti suggeriscono un senso di inquietudine, quasi fossero unici superstiti di un mondo sopravvissuto all’Apocalisse, in un day after successivo ad una tremenda esplosione: muti testimoni della catastrofe, essi non comunicano più nemmeno fra loro.
Lontani ormai i tempi della “incomunicabilità” dei films di Antonioni (ma altresì de Gli Uccelli, quasi onorifico capolavoro di Hitchcock del 1962), i solitari protagonisti dei quadri della Onestini sono volatili che all’alba del XXI secolo sono sulla scena quasi fossero supponenti attori al proscenio, per uno spettacolo senza però spettatori: si vedano, per far un esempio, i superbi fenicotteri, i quali sembrano quasi mimare una danza meccanica.
Per evitare di ingenerare un senso di monotonia, talora poi l’autrice usa un abile “espediente” tecnico: rifinisce gli uccelli con maniacale precisione, con illusionistici piumaggi, sguardi vividi, becchi icastici, ma poi dipinge lo sfondo in modo “impressionistico”, pochi toni per creare l’habitat in cui essi vivono, riuscendo così a raggiungere un suasivo contrasto atmosferico. Elementi isolati nello spazio, i suoi iper-realistici animali campeggiano sulla ribalta pittorica: talvolta il cielo costituisce una sorta di “barriera”, i frangiflutti del litorale comacchiese diventano pedane sapientemente striate, così come i tronchi appoggiati sull’acqua, mentre i riflessi – sempre ottimamente dipinti – specchiano e ri-specchiano l’inquietudine. In un caso (il quadro con il cigno che nuota) si registra il tentativo di porre la “flora” alle spalle, ma senza alcun compiacimento di tipo romantico: la Onestini non cade mai in queste stucchevolezze, neppure quando propone la beccaccia sugli scogli mentre albeggia, oppure le oche selvatiche che camminano sul bagnasciuga, immerse nella luce estiva.
In alcuni casi le dimensioni risultano volutamente stravolte e gli uccelli sono posti su supporti che appaiono quasi giganteschi: e il caso dell’enorme tronco corroso dalla salsedine dove poggia una bianca garzetta, delle canne che circondano la coppia di svassi che nidifica sull’acqua (il maschio e quello dalla rossastra criniera pennuta), la sterpaglia dove e accovacciata l’upupa, che pare quella di un bosco. La “freddezza” dell’assunto non impedisce all’autrice di giungere a particolari finezze pittoriche: può essere il tono verde-scarabeo nella testa di un germano reale, il bicromo incresparsi del mare, la sporgenza di un sasso grigio, il rosso (e quantomai inquietante) sguardo di un muriglione, lo sfondo notturno nel gruppo dei fenicotteri, le marezzature delle acque verdognole, che sanno di Valle, di canale, di foce del Bevano, di oasi deltizia.
Ma il suo e anche un linguaggio universale: la rappresentazione di una “natura viva” eppur congelata nell’attesa di un evento salvifico, che forse mai giungerà…
Lucio Scardino